Cose strane che dicono i bambini, parte 1

I nomi in questo articolo sono fittizi.


Ah, l’infanzia. Paradiso perduto, tempo ideale, eccetera eccetera. Il fanciullo poeta che scopre il mondo con meraviglia come un Adamo biblico, il piccolo umano felice, libero dalle costrizioni della desolazione adulta.

E ancora, mettersi le dita nel naso e assaporare con gusto il verde malloppo estratto in tal modo, fare la cacca in location originali, ingerire reperti vagamente organici recuperati dai recessi del pavimento o dei cuscini del divano, scoprire sè stessi e la propria fisicità conducendo una scrupolosa investigazione genitale in pubblico (e poi mettersi le mani in bocca, naturalmente).

leaving.gif

Facendo il servizio civile, lavoro come aiuto dell’insegnante di sostegno alle materne, e ho fatto dei laboratori di inglese alle elementari. Da quando ho iniziato, innumerevoli sono le volte che ho avuto il piacere di cantare Whisky il Ragnetto, fare l’imitazione di Elsa o comunicare in conferenza stampa a che livello si evolva Torracat e dove si debba allenare Crabrawler per ottenere un Crabominable. Mi sono fatta una cultura di Paw Patrol, Peppa Pig e tutti quegli altri cartoni disdicevoli che hanno soppiantato l’inossidabile Pingu (di cui colgo l’occasione per ribadire il primato culturale incontestabile). Ho disegnato una legione di Pikachu e sbraitato per sovrastare il caos fin quando i miei alveoli polmonari non si sono rattrappiti come miserandi chicchi di uvetta. Ho assisitito con sconcerto a orde di bambini di tre anni producentisi nella danza tribale di Rovazzi (modificando però il testo in un più sfizioso “Andiamo a scorreggiare”), e visto volare più manate fra i bimbi che in una partita di pallavolo professionistica.

Ma soprattutto, ho collezionato una serie di esternazioni e dichiarazioni memorabili da parte dei bambini, che ho deciso di raccogliere in una serie di post.

MAESTRAAAAAA

Una si presenta a lavoro a scuola le prime volte, logicamente, abbastanza nervosa. Andrà tutto bene? Riuscirò ad avere una qualche autorità? Qualcuno nutrirà una particella di rispetto per la mia figura, nebulosamente classificata come operatrice del servizio civile — dicitura che, va da sé, non ispira particolare stima nè considerazione? Verrò bersagliata da articoli di cancelleria, scagliatimi contro per protesta contro i verbi modali? Sarò in grado di fare la semi-quasi-aiuto-insegnante di sostegno a delle bambine così piccole, o dopo un mese darò forfait, sconfitta e coi nervi a pezzi?

kjhf.gif

Ma poi, i pargoli compiono il miracolo, chiamandomi addirittura maestra. Certo non vai a spiegare questa faccenda del servizio civile ai bimbi delle materne, e anche quelli delle elementari se lo dimenticano subito. Così, essi vedono una figura adulta, estremamente senescente con i suoi ben ventisette anni di età, che si arrabbia se uno mette le dita negli occhi a un altro (e che rompe l’anima col present simple, nel caso delle elementari) — tutte queste caratteristiche mi qualificano ai loro occhi come maestra, senza tanti discorsi.

L’invocazione alla maestra si articola secondo diverse varianti poetiche. C’è la lamentazione gnaulante “Maeeeestraaaa…” con gli occhi bassi e l’aria abbacchiata quando qualcuno ha sonno o fame, c’è il grido del gibbone  “MAESTRAAAAAAAAAAAAA”; c’è il nastro di mitragliatrice “Maestra maestra maestra maestra maestra maestra maestra”, e c’è l’ululato disperato “Maestraaaaaaa!!!” quando qualcuno le ha appena prese da qualcun altro.

In tutti i casi, non posso negare che sia bello sentirsi appellare in questo modo. Senza contare che mi prendo solo il meglio della maestritudine: non devo stare a scuola tutto il giorno tutti i giorni, ma ottengo comunque dai bimbi la nomina ad honorem. C’è da dire che prendo anche 3 euro di stipendio, ma quello è un dettaglio nel quadro più ampio della realizzazione personale e tutto il resto.

E’ per me memorabile la volta che stavo seguendo la bambina delle materne nel cortile, il quale confinava con quello dove stavano facendo ricreazione i miei ex studenti delle elementari. Questi ultimi mi vedono, mi salutano, e poi mi guardano con aria confusa, come se questo mio passare di scuola in scuola lasciasse perplessi anche loro. A quel punto, una mi chiede addirittura: “Maestra, ma hai preso la laurea in maestrologia?”.

so-cute.gif

Io, che al momento ho solo una laurea triennale in “Vorrei che quei tre anni fossero serviti a lavorare”, non ho potuto fare a meno di sentirmi intimamente riscaldata da questa candida domanda.

SERRAGLIO PASQUALE

La maestra mi incarica un giorno di fare una lezione a tema pasquale, e io, senza meno, mi imbarco nell’impresa. Non sapendo più cosa inventarmi per terminare l’ora, credendo di far cosa gradita, scrivo alla lavagna in inglese tutta una serie di sostantivi pasquali in ordine sparso, da disegnare poi sul quaderno col nome corrispondente — il che scatena una protesta generale. A ripensarci dopo, probabilmente avrei protestato anch’io se mi avessero detto di disegnare cose come un agnello, dato che evidentemente non è facile come sembra, almeno a giudicare da quella specie di cockerino affetto da beri-beri che ho prodotto quando mi è stato ingiunto dagli studenti di disegnarlo alla lavagna.

Ad ogni modo, a un certo punto, Federico mi domanda cosa sia la colomba, “dove”. Per spezzare una lancia a suo favore, la colomba pasquale che infine ho dovuto disegnare sotto la parola assomigliava a una via di mezzo fra una quaglia e un polmone tumefatto sulle avvertenze dei pacchetti di sigarette.

Cerco quindi di spiegargli il significato: “Allora, hai già fatto lamb che è l’agnello, rabbit che è il coniglio, qual è un altro animale che viene in mente con la Pasqua? che ci si fa un dolce con questo nome?”

Federico mi restituisce uno sguardo remoto, con la bocca aperta e la palpebra calante, mentre cerca di concentrarsi per tornare sulla Terra, o contempla forse qualche chimera filosofica a cui non mi è dato accedere. Infine, pare illuminarsi:

“La capra,” annuncia, convinto.

wtthll.gif

LA VALERIA

Chaz Bono, Indio Downey e il Principe Harry sanno tutti cosa significhi crescere nella gloria riflessa di un parente famoso. Ma nessuno di costoro è “il figliòlo della Valeria”.

La Valeria ha una cartoleria, ed è perciò la massima autorità di paese nell’ambito dei quaderni e delle penne colorate, eminenza degli slime glitterati aromatizzati fluorescenti, luminare delle carte Yu-Gi-Oh, maggiorente delle bustine a sorpresa con dentro mostriciattoli assortiti. In sintesi, è l’elargitrice di tutti quei servizi che sono assolutamente indispensabili per i pulcini di scuole materne e elementari.

Così, quando i bambini scoprono che sono “la figliòla della Valeria”, le reazioni sono assoutamente impagabili.

whowut.gif

Ho visto pargoli delle materne restare mortalmente confusi quando, al tanto agognato ingresso nella bottega, mi trovano dietro la cassa, a far loro la rivelazione dei miei natali. Come prima cosa, stentano a riconoscere la maestra al di fuori del contesto di sua pertinenza. Se non si trova in un’aula color crema, circondata da fiori di carta e camioncini giocattolo, se per esempio la trovi in centro o alla Coop, la maestra, orba del suo habitat, non è così facile da riconoscere.
Comunque, dopo un po’ i bambini riescono a collocarmi dietro a quell’inedito bancone; ma a quel punto, con gli occhi a palla dallo sconvolgimento, si girano ansiosamente verso le madri, poi di nuovo verso di me, poi di nuovo verso le madri, poi verso la Valeria, poi verso il gatto, poi verso la nonna, poi verso una vecchietta che è appena entrata a comprare Sorrisi e Canzoni; probabilmente cercano di far quadrare i conti, dato che è universamente noto che le maestre sono vecchie, quindi le maestre non possono avere mamme perchè solo i bambini hanno la mamma; oppure cercano di capire perché non sia toccata a loro la fortuna incredibile di essere figli della proprietaria della caverna delle meraviglie.

A scuola, le reazioni sono variegate. Qualcuno lascia andare la mandibola fino al pavimento, ed esclama un “NO!” categorico. Qualcun altro si lascia prendere dall’entusiasmo e comincia a raccontarmi tutti i meravigliosi articoli acquistati per lui dalla nonna la settimana prima dalla Valeria. Qualcuno passa subito a questioni più serie e mi chiede quando arrivano i nuovi Skifidol. Qualcuno non risponde, diffidente, sospettoso che gli stia dicendo una bugia, e una particolarmente infame.

Il più bello però è il piccolo Lorenzo delle scuole materne. Certo che non esista niente di più importante della Valeria erogatrice di Avengers, figurarsi qualcosa di così irrilevante come la mia personale identità, quando deve assolutamente dirmi qualcosa, dovunque si trovi in giardino, si mette a urlare, in pieno stile formulare omerico: “MAESTRA DELLA VALERIAAAAAAAAAAAHHHHHHH!!!!!”

COMPLEANNI MISTICI

Tutti i bambini sono entusiasti del proprio compleanno, salvo rare eccezioni. Ma di sicuro nessuno lo è di più di Anna, delle materne, che un giorno arriva e mi fa: “Maestra, io rinasco”.

“Ah. Fai il compleanno?” traduco, banalizzando oltremodo il mistero della Pasqua.

“Maestra, io domani rinasco,” insiste la bambina con fare messianico. Dopodiché l’araba fenice se ne torna a giocare, con aria misteriosa, continuando a ripetere a tutti i bambini che rinascerà a breve.


Ecco così alcuni esempi delle dichiarazioni più notevoli raccolte finora, in una lista che continuerò nel prossimo post.

Lascia un commento